Consigli della Viottola escursioni

Aiuto! Si è scollata una scarpa

Generalmente capita durante la visita a Gorgona (sarà l’aria di mare?): qualcuno del gruppo si ferma e lamenta che si è scollata la scarpa. In genere, la frase è accompagnata con espressioni di stupore e frasi che racchiudono una certa incredulità. Come è possibile? La scarpa è praticamente nuova, usata solo poche volte…

E allora, facciamo un po’ di chiarezza, anche se non è semplice prevedere quando una scarpa deciderà di scollarsi; è però possibile cogliere alcuni segnali che ci permetteranno di capire se è ora di cambiare le scarpe!

La prima accortezza è sempre quella di verificare da quanto tempo non si usa lo scarpone; infatti se lo scarpone non viene usato con regolarità, è possibile che la gomma si secchi o che ci siano scollature. Quindi, prima di usarlo per un’escursione è sempre consigliato testarlo a casa, magari facendo un giro nel quartiere in modo da verificare che la suola sia ancora bella salda. Altro controllo che è sempre bene fare è controllare l’usura della scarpa: una suola consumata può far perdere aderenza e quindi diventare pericolosa.

Ma se, nonostante questi piccoli controlli, in escursione la scarpa decide di scollarsi, niente panico!

Diciamo subito che, in genere, gli scarponi tendono a perdere la suola per intero, quindi generalmente si scollano totalmente; nello zaino della Guida, però, ci sono sempre oggetti utilissimi, che possono rimediare anche una suola scollata e permetterti di terminare l’escursione.

I due migliori amici per le scarpe scollate sono:

Il nastro telato americano;

Le fascette da elettricista;

Due parole sul nastro americano : il nome originale è duck tape, la sua invenzione risale agli anni della Seconda Guerra Mondiale quando viene combinata la resistenza del duck tape ad un comune nastro isolante. Questo nuovo materiale consentiva, oltre alle riparazioni di emergenza, di sigillare ermeticamente anche le casse contenenti armi e munizioni . La parte superficiale è composta da una tela (tessuto con orditura non fitta) che garantisce un’elevate resistenza alle trazioni (nonostante possa essere strappato con le mani). Generalmente è impermeabile, grazie ad un rivestimento di polietilene a bassa densità e si applica attraverso una leggera pressione, ma attenzione! Non va considerato come un tradizionale scotch perché il nastro americano è molto resistente.

E insieme al nastro telato americano, bisogna avere sempre con sé le classiche fascette da elettricista: le fascette sono monoblocco e quindi ogni striscia di plastica è dotata di un sistema a cravatta che mette in moto un meccanismo autobloccante. Le fascette in plastica tradizionali sono composte da un solo pezzo e sono quelle che vengono utilizzate più spesso nei lavori domestici e nel fai da te. Le tradizionali fascette autobloccanti sono inoltre economiche.

E adesso veniamo a come “mettere una pezza” sulle scarpe scollate!

Generalmente, uso prima le fascette per fissare la suola allo scarpone, stringendo bene per assicurare il più possibile la suola allo scarpone; poi tanti giri di nastro telato per permettere alla scarpa di finire di fare il suo dovere. Bisogna cercare di non esagerare con i giri di nastro telato americano, perché il nastro porta comunque a perdere grip e rischiare quindi di scivolare.

Infatti, terminata questa riparazione in emergenza, bisogna fare la valutazione più importante: si può tornare indietro in sicurezza?

Perché (tralasciando la visita a Gorgona, dove in genere le scarpe sui scollano-per fortuna-ormai a fine percorso e con pochi passi si è al porto), quando si ha uno scarpone rotto SI DEVE TORNARE INDIETRO.

Lo so, la tentazione è forte, generalmente si pensa di poter proseguire perché il sentiero è una comoda strada forestale, perché mancano pochi minuti per arrivare al rifugio, perché è un percorso fatto centinaia di volte e perché.. ma cosa vuoi che succeda?

Lasciamo da parte tutti questi (più  o meno) validi motivi e concentriamoci sull’unica considerazione da fare: avere una scarpa rotta significa non essere nelle condizioni di sicurezza per proseguire. Tornare indietro (ovviamente in sicurezza) è l’unica cosa da fare: continuare l’escursione con scarponi danneggiati è pericoloso, aumenta il rischio di scivolamenti ed infortuni. La sicurezza deve essere sempre la priorità.

Possiamo però regalare lunga vita ai nostri scarponi con un’attenta manutenzione, in modo da poter prevenire eventuali danni piuttosto che fare riparazioni in emergenza: ecco i quattro consigli stra-utili per prenderci cura dei nostri scarponi:

  1. Pulizia regolare Dopo ogni escursione, pulisci i tuoi scarponi per rimuovere fango, sabbia e detriti che possono danneggiare i materiali. Utilizza una spazzola morbida e acqua tiepida, evitando detergenti aggressivi che potrebbero rovinare i tessuti.
  2. Asciugatura corretta Asciuga sempre i tuoi scarponi all’aria, lontano da fonti di calore diretto. Il calore eccessivo può deformare e danneggiare i materiali.
  3. Trattamenti impermeabilizzanti Se il tuo tipo di scarpone lo richiede, applica regolarmente un trattamento impermeabilizzante specifico per il materiale dei tuoi scarponi. Questo aiuta a mantenere i piedi asciutti e protegge i materiali dall’umidità.
  4. Controllo periodico delle suole Controlla regolarmente lo stato delle suole per identificare segni di usura. Se noti che la suola è consumata, considera di farla risuolare prima che si rompa completamente. Se gli scarponi sono in buono stato ma la suola è consumata, esistono calzolai specializzati che possono risuolare gli scarponi con suole in Vibram.

Quindi, manutenzione, controllo, nastro telato americano e fascette nello zaino e la cosa più importante di tutte: non far uscire gli scarponi solo poche volte l’anno, camminare sui sentieri, in tutte le stagioni, è bellissimo!

 

#PiediStanchieCuoreFelice

Testo di  Fabrizio Borgognoni

Novembre 2024

 

Foto di copertina di proprietà dell’ Autore

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Che sete! Che fame! Il terzo tempo

E’ un’abitudine che mi porto dietro fin dalle prime uscite: terminata l’ escursione, arrivati alle macchine, rigorosamente con i #PiediStanchieCuoreFelice, non resta altro da fare (prima di salutarsi) che concedersi una pausa tutti insieme: il terzo tempo.

Il terzo tempo arriva dal rugby ed  è una delle sue tradizioni più importanti. Inizia da quando l’arbitro fischia per concludere la partita. Da quel momento le due squadre non sono più rivali e vanno a festeggiare insieme. Forse rappresenta il vero spirito del rugby.

Allo stesso modo, dopo un’escursione, terzo tempo è il momento in cui si beve qualcosa tutti insieme, si fanno due chiacchiere e, perché no?, si mangia anche qualcosa.

Soddisfatti ma affaticati, dobbiamo dare al nostro organismo la possibilità di recuperare: i muscoli hanno lavorato parecchio ed ora hanno bisogno di proteine per ricostruirsi. Va bene seguire uno schema alimentare rigido, ma a fine escursione qualche peccatuccio (piccolo, molto piccolo) ci vuole, soprattutto se abbiamo la possibilità di fare il terzo tempo in un bel bar. Nell’alimentazione è sufficiente avere una misura, senza esagerazioni per stare bene.

Se abbiamo fame, una fetta di torta o un tagliere di affettati, ci aiuteranno a recuperare. Infatti, è inutile, oltre che dannoso, non mangiare dopo uno sforzo: senza la giusta dose di energia, ti sentirai affaticato e annebbiato, il che ostacolerà il tuo recupero. I tuoi muscoli saranno indeboliti se il recupero viene trascurato.

Ma soprattutto, ricordiamoci che abbiamo appena finito di camminare (dopo diverse ore) e siamo in riserva di liquidi e sali minerali che abbiamo perso attraverso il sudore; dunque la prima cosa che dobbiamo fare è reintegrare il più velocemente possibile liquidi e sali minerali.

Quindi, via ad assumere molti e molti liquidi: l’ acqua è davvero un’ottima fonte di idratazione, ma non è necessario limitarsi alla sola acqua; piuttosto è necessario assumere una varietà di liquidi. Se piace, si può bere acqua di cocco, lime e tè matcha come bevande idratanti post-fatica che non solo soddisferanno le esigenze di idratazione del corpo, ma daranno anche un grande gusto da gustare. Per chi lo ama, un frullato post-sforzo è un ottimo metodo per reintegrare la tua energia.

E poi, c’è lei, la regina incontrastata del terzo tempo: la birra fresca. Ti sei mai chiesto se si fa bene o male dopo tanta fatica, a bere una bevanda alcolica? Se non è meglio una bibita o un succo di frutta?

Una ricerca condotta in Olanda dal professor Henk Hendriks” , dimostrerebbe che una birra media (meglio a bassa fermentazione) aiuta a reintegrare i sali minerali dopo uno sforzo fisico di media intensità, come alcuni dei più comuni integratori presenti in commercio.

Sostiene la stessa tesi anche il prof. Gatteschi, specializzato in medicina dello sport e per alcuni anni responsabile sanitario della nazionale italiana di calcio femminile. Dello stesso parere anche  uno studio della università di Granada:  l’uso moderato di birra dopo una giornata di cammino, contribuisce al reintegro dei normali livelli di sali minerali e di carboidrati.

Però, c’è un però: la birra ha al suo interno, sodio, potassio e carboidrati che servono sì al reintegro , ma ha anche alcool che se assunto in grande quantità porta alla disidratazione, specialmente in una fase post fatica in cui i livelli di liquidi sono già bassi. Riduce inoltre la sintesi proteica muscolare: problema che si può risolvere scegliendo una birra analcolica o a basso contenuto di alcol e senza esagerare con la quantità.

Ma come dicevano i latini (e siamo tutti d’accordo) “in medio stat virtus”, quindi (come sempre) bisogna cercare di avere una giusta via.

E se vogliamo concederci una birra, quale scegliere?

Non tutte le birre sono uguali: questo perché il luppolo differisce molto tra le varie tipologie di birra; in sostanza le sue proprietà antiossidanti non si trovano in egual misura in tutte le tipologie di birra.

Per ultimo, un consiglio da Guida: non essendo io  né un medico né (purtroppo) un mastro birraio consiglio sempre le birre artigianali rispetto a quelle industriali  in quanto il processo di pastorizzazione che viene effettuato è con temperature medio basse che mantiene inalterato le caratteristiche migliori.

#PiediStanchieCuoreFelice

Testo e foto Fabrizio Borgognoni

Settembre 2024

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Che fame! Il pranzo dell’ escursionista

Il momento durante l’escursione in cui vedo il maggior numero di sorrisi è quando dico che siamo arrivati nel posto in cui mangeremo pranzo e quindi resteremo fermi un po’ di tempo, generalmente all’ ombra. Ancora maggiore il numero dei sorrisi quando, soprattutto durante le ciaspolate d’ inverno, il gruppo vede la porta del rifugio, pregustando il pranzo e generalmente il calduccio accogliente.

Per parlare del pranzo dell’ escursionista, partiamo da un proverbio popolare “Colazione da re, pranzo da principe e cena da povero” che esprime una salutare verità da mettere in pratica, soprattutto per le escursioni.

E allora, dopo la colazione, vediamo qualche consiglio per il pranzo ideale di un escursionista, in modo da poterci ricaricare e poter ripartire senza fatica!

Prima alcuni cenni di fisiologia per conoscere meglio il nostro corpo. In condizioni di peso normale, il nostro corpo ha una riserva energetica (grasso) di circa 10 kg: questa riserva ci permetterebbe di vivere senza mangiare per circa 3 mesi. Di contro abbiamo una riserva di zucchero molto ridotta, che ci dà un’ autonomia di circa 15 ore.Quando aumentiamo lo sforzo, aumentiamo anche il consumo di zuccheri (durante l’attività fisica si possono bruciare fino a 50-60 grammi/ora). Perdiamo anche acqua (con la sudorazione) e quindi zucchero e acqua sono le uniche due cose che durante un’escursione dobbiamo costantemente reintegrare.

Nelle ore di cammino, dobbiamo pensare a mantenerci ben idratati, senza aspettare di avere sete, bevendo piccoli sorsi ogni 15/20 minuti: durante le escursioni, la sudorazione può far perdere fino a 2 litri d’acqua l’ora e l’aumento della frequenza respiratoria fa disperdere altra acqua. L’ideale sarebbe bere acqua addizionata con sali minerali.
Da evitare l’alcool che rallenta i riflessi ed è un vasodilatatore e, soprattutto, disidrata l’organismo.

Arrivati finalmente! dove ci fermeremo per il pranzo e dopo aver camminato tutta la mattina, è ora di mangiare sul serio.

Il nostro corpo ha bisogno principalmente di:

Proteine, servono a formare le fibre muscolari.

Carboidrati, servono a darci una scorta di riserve energetiche per l’uso immediato.

Zuccheri, servono a darci una scorta di riserve energetiche.

Grassi o lipidi sono invece le riserve energetiche a lunga scadenza.

Vitamine e sali minerali occorrono per mantenere il corretto metabolismo.

Acqua

Ricordiamoci, però, che terminata la pausa pranzo dovremmo rimetterci in cammino, quindi dobbiamo selezionare cibi che non ci appesantiscano ( i cibi pesanti/elaborati portano sonnolenza), ma anzi facilmente digeribili, leggeri ed energetici.

Ecco quindi i consigli da Guida per il pranzo dell’ escursionista.

Pranzo al sacco: va bene il panino purchè sia degno del diminutivo ed abbia caratteristiche di digeribilità (pane ben lievitato) ed imbottito con prosciutto cotto o bresaola (gli alimenti proteici in assoluto più digeribili), una foglia di insalata o una fetta di pomodoro. Si può aggiungere della verdura fresca da sgranocchiare come carote o finocchi.

Se riesci ad organizzarti in anticipo puoi preparare una insalata fredda di cereali con riso basmati, riso integrale o farro da condire con del buon olio extravergine di oliva e verdure fresche.

Evitiamo di mangiare troppi formaggi grassi e il salame che ci faranno venire una gran sete.

Bene il classico thermos di caffè dopo pranzo, ma senza esagerare: potrebbe dare un effetto eccessivamente diuretico con conseguente perdita di sali.

Pranzo in rifugio: soprattutto se si pranza in rifugio, bisogna cercare di non appesantirsi. Il richiamo del profumo di lasagne è irresistibile, e forse abbiamo anche fame, ma il mio consiglio è quello di scegliere comunque piatti leggeri. Riprendere a camminare con la sensazione di aver mangiato un cinghiale intero è molto difficile, nonché faticoso!

E allora via a un piatto di pasta con sugo semplice o una zuppa di verdure, un tagliere di affettati (senza grassi) e formaggio stagionato. O un secondo e (se possibile)  un dolce fatto in casa (l’ ideale sarebbe un dolce fatto senza margarine ed olii vegetali, che riporta in alto le nostre riserve energetiche grazie agli zuccheri e carboidrati).

Da evitare, perché pesanti e con tempi di digestione molto lunghi i brasati, stufati, patate, uova o comunque tutti quei piatti molto conditi.

La nostra pausa pranzo è finita, zaino in spalla e … pronti  a ripartire?!?

#PiediStanchieCuoreFelice

Testo ed immagini Fabrizio Borgognoni

Agosto 2024

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Che fame! La colazione dell’ escursionista

Capita a tutte le Guide, prima o poi. Neanche a metà mattina e qualcuno dal gruppo fa una delle domande più classiche “Ma quando si mangia?”. Mi sono chiesto più di una volta se la persona che fa questa domanda ha fatto colazione. Credo di si. Mi chiedo anche se ha fatto una colazione adatta ad affrontare un’ escursione. Mhmmm, credo di no!

A tutti sarà capitato di sentire, da piccoli, o leggere sui libri che “la colazione è il pasto più importante della giornata”. Assolutamente vero, e proprio per questo, quando si decide di fare un’ escursione dobbiamo cercare di alimentarci correttamente prima, durante e dopo: questo ci permetterà di non sentirci troppo deboli per continuare la nostra attività.

Questa volta, parliamo dunque di colazione; anzi, la colazione per affrontare l’escursione!

Prima di tutto, chi si prepara per un’ escursione, deve considerare che il dispendio calorico di una giornata in natura è quasi il triplo di quello di una giornata lavorativa, quando stiamo per la maggior parte del tempo seduti ad una scrivania. Consideriamo poi che il consumo calorico aumenta proporzionalmente allo sforzo che dobbiamo fare (con variabili da tenere in considerazione come il dislivello da affrontare o peso dello zaino ad esempio). Quindi, prima ancora di metterci in cammino, è necessario fornire al nostro corpo una riserva energetica utile a contrastare lo sforzo che andremo a fare.

Visto che sarà la colazione a fornirci una buona percentuale delle scorte energetiche, vediamo qualche consiglio per una corretta colazione e per non avere già fame a neanche metà percorso!

La colazione dovrà essere abbondante, ma facilmente digeribile per non appesantirci. E’ meglio fare colazione non troppo a ridosso dell’ orario di partenza dell’ escursione: i nutrizionalisti consigliano di fare colazione almeno un’ora e mezza prima di partire. Se facciamo colazione molto prima (due ore o più prima di iniziare a camminare), possiamo prevedere di mangiare uno snack prima di iniziare l’escursione.

Il nostro corpo, per avere sufficienti scorte durante l’escursione, ha bisogno principalmente di carboidrati (glucidi), grassi (lipidi) e proteine (protidi). La percentuale di carboidrati da assimilare è circa il 50-55% del totale perché è dai carboidrati che ci arriva l’energia per sostenere lo sforzo. Un altro 30% dell’ energia arriverà dai lipidi e circa il 15% dalle proteine. Questo perché per attivarsi, i muscoli hanno bisogno dell’ energia subito disponibile generata dalla combustione del glicogeno; quando le scorte di glicogeno si esauriscono, il nostro organismo attinge dalle scorte dei lipidi.

Le proteine apportano gli amminoacidi essenziali -servono per la costruzione ed il ricambio delle cellule- e accrescono le fibre muscolari. Possiamo prendere anche vitamine: tutte quelle del gruppo B combattono l’affaticamento, la famosa Vitamina C aiuta le difese immunitarie.

E allora cosa mangiare per fare una bella scorta di energia ed iniziare a camminare?

Meglio colazione dolce o salata? Colazione dolce o salata dipende sempre dai gusti, l’importante è scegliere carboidrati facilmente assimilabili e zuccheri semplici. Sarà quindi perfetta una colazione dolce con pane integrale (perché fornisce energia utilizzabile più a lungo rispetto a quello bianco) o fette biscottate (meglio sempre integrali),miele, marmellata, crema di nocciole, muesli, cereali, yogurt, biscotti secchi. Per la colazione salata, via libera sempre a pane o fette biscottate integrali, ma con l’aggiunta di prosciutto cotto, speck (senza grasso!) o bresaola.

Non dimentichiamo la quota di liquidi! Dopo che per tutta la notte non abbiamo bevuto, abbiamo bisogno di reidradarci. Il caffè non è da considerare una bevanda, o almeno non beviamo solo un caffè; si tratta di una bevanda che incide sulla nostra salute: più caffeina introduciamo, più minerali vengono presi dalle ossa. Meglio quindi prediligere latte, meglio ancora the (i nutrizionalisti consigliano the verde, perché contiene pochissima teina, ma il retrogusto amaro non piace a tutti), tisana – se a base di spezie (zenzero, cannella, chiodi di garofano) è più energetica, spremuta d’arancia.

E’ sempre consigliabile mangiare frutta fresca: la frutta fornisce zuccheri naturali, vitamine e minerali che permettono di affrontare lo sforzo che andremo a fare. Anche la frutta secca (mandorle in primis), è un’ottima fonte di grassi sani e proteine, che aiutano a soddisfare l’appetito e forniscono energia a lungo termine.

E se faccio colazione al bar? Cornetto integrale farcito con marmellata è un buon compromesso.

E se, nonostante aver fatto un’ottima colazione, a metà mattina sento fame, stanchezza e mancanza di energia? Qualcuno pensa che basta mangiare un’intera tavoletta di cioccolata per riprendere forza, sbagliato! Assumere troppi zuccheri tutti nello stesso momento incrementa la produzione di insulina, che abbassa il livello glicemico. Quindi meglio mangiare uno snack che contenga (se possibile) sia zuccheri che fibre: stra-consigliata la frutta fresca (in cima alla classifica mele e arance), frutta disidratata o frutta secca. Facili da portare e ottime per le pause sono le barrette con muesli e cereali, ma anche (per i golosi) biscotti secchi e cioccolato fondente (non una tavoletta però!).

Allora, pronti per partire per una bella escursione con pancia piena ed energia da vendere??

#PiediStanchieCuoreFelice

Testo ed immagini Fabrizio Borgognoni

Ottobre 2023

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A proposito di…calzature da trekking

Se è vero che dopo un’escursione è quasi d’obbligo avere #PiediStanchieCuoreFelice, è anche vero che i piedi devono essere stanchi ma non massacrati da calzature non adatte all’ attività che si è scelto di fare; peggio ancora non bisogna arrivare a casa con slogature, tendiniti, dolori vari e l’idea che l’escursionismo non faccia proprio per te.

Paragonando le scarpe ai pneumatici dell’auto, anche le scarpe devono poterci garantire sicurezza e prestazione su tutti i tipi di terreno: dal bagnato ai prati, dalla ghiaia al sentiero.

E vi dico subito che le calzature da trekking non devono “essere belle”, “avere il laccio che si intona al maglione”, “sembrare ciabatte”: le calzature da trekking non devono essere alla moda, devono garantire sicurezza. Come dice una mia collega guida “sei su un sentiero, mica alla Coop”.

E allora partiamo subito con la classica domanda che tutte le Guide si sono sentite rivolgere almeno una volta nella vita: “Posso venire con le scarpe da ginnastica?”. Ecco, questa è una domanda che potrebbe trasformare qualunque GAE in un figlio del demonio.

La calzatura per fare trekking è, appunto, solo la scarpa/scarpone da trekking: ma non per una fissa della Guida, ma per una questione di sicurezza. Camminare con calzature adatte evita spiacevoli problemi che, a parte rovinare l’uscita a tutto il gruppo, implica soprattutto la risoluzione del problema, che ovviamente accadrà in un luogo in cui non sarà facile gestire l’emergenza.

Ovviamente, se in montagna ci vai da solo, nessuno ti vieta di camminare con calzature anche inadeguate (anche se il buonsenso dovrebbe dire di no); ma se ti affidi ad una Guida, bisogna rispettare le regole stabilite dalla stessa: e senza calzature da trekking resti al parcheggio!

Modelli in commercio ce n’è sono moltissimi, i principali  sono 3:

  1. Modello ALTO: le più indicate per le escursioni e i trekking. Fasciano piedi e caviglie completamente, sono un ottimo sostegno su tutti i tipi di terreno. Se traspiranti, vanno bene in tutte le stagioni.
  2. Modello MID: calzatura che arriva a metà caviglia (livello malleolo). Ha un livello di sostegno intermedio, adatto per le escursioni facili.
  3. Modello BASSO: da usare solo nei percorsi con difficoltà minime. Generalmente sono calzature leggere e la loro altezza non arriva a coprire la caviglia.

 

Questa è la calzatura ideale, perché ha tutte le caratteristiche di una buona scarpa da trekking.

Suola: per evitare di scivolare, la suola deve essere ben scolpita, flessibile, robusta. Il materiale deve dare quanta più aderenza possibile al suolo, sia sentiero o sia strada. Deve anche garantire la giusta ammortizzazione per evitare danni a piedi e caviglie. Il pattern delle suole può essere di vario tipo: da quelle con anse più profonde (per un’aderenza maggiore), a quelle con alette (per la stabilità).

Protezione: deve coprire il malleolo, e garantire la protezione della caviglia, anche grazie ad una buona imbottitura. Ci proteggeremo contro distorsioni varie. Regola ovvia che non tutti seguono: la scarpa va allacciata ben stretta, fino in cima.

Tallone e punta: devono essere rinforzati. Questo ci permetterà di non farci male se andiamo a sbattere contro un ostacolo.

Dispositivo anti-shock: serve per ammortizzare il carico prolungato che andiamo a fare sulla colonna vertebrale.

Impermeabile/traspirante: non è solo questione di confort! Stare con i piedi bagnati (perché si è dovuto attraversare un torrente o l’erba nel prato era bagnata o, banalmente, piove!) può creare danni. Lo sapevano bene i soldati, nelle trincee, che si ritrovarono i piedi con un’infezione dovuta proprio alla prolungata esposizione al freddo e all’ umidità: in molte regioni, questa affezione si chiama anche “gelone” ed caratterizzata da gonfiore, intorpidimento e dolore.

COMPRARE SENZA PROVARE? MAI!

Non si può comprare una scarpa senza provarla! Anche se l’hai trovata su internet con lo sconto del 80%. Generalmente si acquista in negozio (meglio se specializzato per l’outdoor) e, sfatiamo un mito, la prova non si fa sta stando seduto sul divanetto a guardare il piede. Bisogna alzarsi in piedi, camminare per qualche minuto, magari salire qualche gradino e provare a muovere il piede. In quasi tutti i negozi specializzati c’è un “area test” con ghiaia, sassi, tronchi su cui provare a camminare con le calzature ai piedi. Con questo test si capisce subito se la calzatura è adatta al piede, se non fa muovere le punte dei piedi, se il tallone è fermo: la pianta del piede deve essere ferma ma non compressa e la calzatura deve darci una sensazione di benessere.

SCARPA E SCARPONE SONO LA STESSA COSA?

Altra domanda che tutte le Guide si sono sentite fare almeno una volta. La risposta è ovviamente NO, altrimenti non avrebbero due nomi diversi! La scarpa da trekking è la classica scarpa bassa, quelle che si usano in pianura o su percorsi con minima difficoltà. Sono quelle che la mia collega Guida consiglia giusto per andare alla Coop. Anche le scarpe da trail non sono scarpe da trekking, sono scarpe nate per fare tutt’ altra attività. Quindi, casomai fosse ancora da ripetere, la scarpa ideale è sempre la calzatura da trekking alta alla caviglia, in buono stato, con la suola possibilmente non usurata (o peggio ancora, liscia),  ed impermeabile.

E PER PULIRE LA CALZATURA?

Bisogna sempre pulire le calzature, rimuovendo lacci e plantari (per farli asciugare se bagnati). Togliere fango e sporcizia varia usando acqua fredda ed una spazzola con setole non troppo dure ed una spugna morbida. Gli scarponi vanno sempre fatti asciugare in una zona fresca e ventilata, lontano da fonti di calore (non si mettono vicino a termosifoni, radiatori, camini, stufe elettrice, etc): questo per evitare di danneggiare i materiali esterni e rischiare che la suola si stacchi. Se si vogliono far asciugare più in fretta, basta inserire all’ interno, dei fogli di giornale che assorbe l’umidità.

E per finire, una riflessione da Guida: se decidi di affidarti ad una Guida, prova anche ad ascoltare i suoi consigli. Una Guida, per mestiere o per passione, vuole farti passare una bella giornata in natura, non farti alzare presto al mattino per poi lasciarti al parcheggio perché ti sei presentato con stivaletti tacco 3 (nonostante la scheda sul sito, i messaggi inviati e certe volte anche telefonate). Soprattutto vuole garantire la tua sicurezza e quella del gruppo e farti arrivare a sera con #PiediStanchieCuoreFelice.

Testo e foto Fabrizio Borgognoni

Agosto 2023

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I benefìci del camminare

Chiedere ad una Guida perché consiglia di camminare è un po’ come chiedere all’ oste se il vino è buono. Camminare è uno dei movimenti più naturali dell’ essere umano, acquisito in tenera età. Ognuno di noi ha il proprio modo di camminare e quando lo facciamo non ci soffermiamo a riflettere sulla forza che esercitiamo sul piede o dove scarichiamo il peso.

Partiamo da Ippocrate, che più di duemila anni fa, diceva: “ Camminare è la migliore medicina” e numerosi studi lo confermano. Camminare è un toccasana per la nostra salute, ma perché?

Quali benefici porta camminare con una certa regolarità e quanto bisogna camminare?

 Voglio sfatare subito il mito dei “diecimila passi al giorno” che sarebbero la giusta misura per stare bene; ebbene, questa, secondo Michelangelo Giampietro (esperto di medicina dello sport e uomo di scienza) è solo una trovata di marketing in quanto non c’è nessun fondamento scientifico a sostegno di questa “teoria”. Nasce negli anni 60, in Giappone, all’ epoca delle Olimpiadi: questa circostanza ha fatto sì che la glorificazione della forma fisica abbia oltrepassato il confine dell’ atletica e si sia propagata in tutta la Nazione, sensibilizzando notevolmente la popolazione sulla prevenzione dell’ obesità, infarto ed ipertensione. Un’ azienda giapponese ha quindi ideato un sistema di conteggio passi da posizionare intorno alla cintura, chiamandolo “manpo-key”: manpo in giapponese significa “diecimila passi”. Questo mantra dei “Diecimila passi” è poi diventato famoso in tutto il mondo.

Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), in un recente studio, si afferma che per ottenere effetti benefici sul nostro organismo possono bastare anche solo 150 minuti di camminata a settimana: insomma, meno di tre ore! Ma camminare abitualmente più volte durante la settimana porta tanti, tantissimi benefici, vediamo quali.

FRENI I GENI DELL’ OBESITA’, ovvero camminare è una sorta di freno ai chili di troppo, nel senso che contrasta gli effetti delle vie genetiche che promuovono l’ aumento di peso.

 DIMINUISCE  L’APPETITO E LA VOGLIA DI DOLCI: secondo due indagini dell’ Università di Exeter (Inghilterra) una passeggiata di un quarto d’ora può far diminuire il desiderio di confort food e persino ridurre la quantità di cioccolato che si mangia in situazioni stressanti.

BRUCI CALORIE: se si cammina per un’ ora, alla velocità di 3,5 km orari, si bruciano all’ incirca 255 calorie. Non sono poche!

RIDUCI IL DIABETE: camminando si accelera il metabolismo e questo aiuta a metabolizzare il glucosio.

ALLENI  IL CUORE: il cuore è un muscolo e più viene allenato e più diventa forte. Tenendo sotto controllo la frequenza cardiaca e camminando con costanza si rende più efficiente il sistema circolatorio facilitando l’  ossigenazione del corpo.

FA BENE AI PIEDI: certo #PiediStanchieCuoreFelice, ma camminare fa bene anche alla salute dei nostri piedi! La pianta del piede è una ampia massa riccamente vascolarizzata che camminando viene compressa e rilassata. Il sangue venoso viene spinto in alto, quello arterioso aspirato in basso. In più, siccome alcune parti della pianta del piede corrispondono ad organi del corpo, ogni passo è un massaggio tonificante e benefico per tutto il corpo.

RINFORZI LE DIFESE  IMMUNITARIE: uno studio condotto su oltre mille persone, tra uomini e donne, ha concluso che camminare rinforza le difese immunitarie, allontanando influenza e altri malesseri stagionali. Sempre secondo questo studio, chi cammina per una ventina di minuti per circa 5 giorni alla settimana ha avuto il 43% in meno di giornate di malattia durante l’anno rispetto a chi camminava una volta alla settimana o meno. E non solo: se si erano ammalati, era stato per un periodo più breve e con sintomi  lievi.

VIVI PIU’ A LUNGO: sostengono gli scienziati che camminando in maniera regolare, possiamo aumentare la nostra vita da 3 a 7 anni, dimezzando il rischio di infarto dopo i 50 anni.

RIDUCI LA CELLULITE: ogni passo lo possiamo paragonare ad un massaggio, che delocalizza il grasso e combatte la pelle a buccia d’arancia. Quando stiamo seduti a lungo, magari con le gambe incrociate, la circolazione non è fluida e aumentiamo la cellulite.

MIGLIORI L’UMORE: camminare produce endorfina, la sostanza del buonumore. Ma camminare procura anche un rilassamento che giova alla mente; fa dormire meglio ed aumenta la soddisfazione mentale ed emotiva. Rifletteva così il filosofo Kierkegaard “ I pensieri migliori li ho avuti mentre camminavo”.

David Le Breton, antropologo e sociologo francese, ha scritto molti libri sul camminare. Secondo Le Breton camminare è un modo di aprirsi al mondo: camminando è possibile viaggiare, conoscere posti nuovi, incontrare persone e guardare le cose con occhi diversi. Andando a piedi possiamo esplorare vie, quartieri, parchi, e il limite è dato solo dal tempo che vogliamo dedicare al cammino.

E se decidiamo di camminare in gruppo, magari ad un’escursione, non dimentichiamo che anche camminare in gruppo porta altri benefici altrettanto importanti: in gruppo ci sentiamo più sicuri, accettiamo i nostri limiti (e quindi non sottoponiamo il fisico a stress inutili), ma allo stesso tempo siamo incentivati a non essere pigri, a non restare indietro rispetto agli altri. Insomma, a fare qualche sforzo in più!

Testo e foto  di Fabrizio Borgognoni

Aprile 2023

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Sai rinunciare al superfluo? Cosa portare per un trekking

L’occasione è ghiotta: i trekking di più giorni de La Viottola,  giorni  tra cielo, camminate, fatica e risate…poi, arriva la telefonata dell’ Agenzia :” Fabrizio, ci mandi un piccolo vademecum da mandare agli iscritti su cosa bisogna mettere nello zaino?”

E allora, per non correre il rischio di avere nello zaino quattordici paia di calze ma solo una maglietta, o peggio portarsi dietro cose che non si utilizzeranno mai e lasciare a casa il kit di pronto soccorso, ecco i miei consigli per avere uno zaino a prova di trekking!

Il primo consiglio, ma per me il più importante, parte da una canzone di qualche anno fa : “Parti con la voglia di non tornare più”: una mente aperta, disposta ad accogliere non solo le emozioni positive che generalmente i trekking di più giorni regalano, ma anche i piccoli contrattempi, la fatica, magari un po’ di pioggia che potrebbe disturbare l’ escursione, un cambio di percorso deciso dalla Guida. Se partiamo con questi presupposti, torneremo con un bagaglio di emozioni che ci arricchiranno. E poi, visto che i trekking sono di gruppo, spirito di adattamento, voglia di conoscere gli amici di scarponi che divideranno con noi le giornate, le salite, i panorami.

Fatta questa doverosa premessa, vediamo ora cosa mettere nello zaino.

Anzi, partiamo proprio dallo zaino, ovvero il nostro compagno d’avventura. Lo zaino deve essere comodo e pratico: non cadiamo nella tentazione di prendere uno zaino esageratamente grande, da riempire con cose assolutamente inutili. Allo stesso modo, non scegliamo uno zaino troppo piccolo, con il rischio di dover tenere in mano quello che non è entrato nello zaino. Dopo aver percorso parecchi cammini con lo zaino in spalla per svariati kilometri e giorni, ho imparato il significato delle parole “realmente utile”!

Per i trekking di  2/3 giorni, come quelli proposti da La Viottola, io consiglio uno zaino da 35/40 litri: generalmente il pernottamento è in alberghi o b&b quindi non serve tenda, materassino o altro. Per questo tipo di trekking, ovviamente, serve un altro tipo di zaino. Lo zaino deve aderire alla schiena, quindi importante è che abbia tutte le cinghie regolabili, in modo che possa aderire evitando di farci male alla schiena o alle spalle  o, peggio, che ci costringa ad una postura che ci regalerà solo un brutto ricordo del nostro trekking.

Io consiglio uno zaino con la tasca per l’estrazione rapida della borraccia o meglio ancora con la camel bag: questo perché è importante bere spesso e se ogni volta bisogna cercare nello zaino la bottiglia d’acqua, si finisce con non bere a sufficienza e quindi essere disidratati. Altro oggetto utilissimo è il coprizaino: in caso di pioggia, permette di tenere lo zaino all’ asciutto. Ricordate: uno zaino bagnato sulla schiena pesa di più di uno zaino asciutto!

E adesso, cosa mettiamo nello zaino?

Quando inizio a preparare lo zaino, per ogni oggetto che vorrei far entrare nello zaino mi chiedo:  Mi serve davvero? Ne posso fare a meno? Con queste domande mi rendo conto di cosa è “realmente utile” oppure no. Con il tempo sono passato da “questo mi serve assolutamente” a “di questo non me ne faccio niente”.

Una cosa che assolutamente non si può dimenticare sono gli scarponi: possono essere alti o bassi a seconda del trekking che andremo a fare; l’importante è che siano resistenti all’ acqua, e che fascino la caviglia. Fondamentale  è che lo scarpone sia stato usato prima di partire: non affrontare un trekking di più giorni con un paio di scarponi comprato il giorno prima di partire: le vesciche potrebbero essere una spiacevole sorpresa.

E dopo gli scarponi, parliamo di calze: a seconda delle abitudini, possono essere corte o lunghe. L’importante è che siano del giusto spessore: troppo sottili aumentano la sensazione di sfregamento tra piede e scarpa; troppo spesse rischiano di tenerci il piede troppo al caldo (soprattutto se il trekking si svolge tra primavera ed estate). In commercio esistono anche calze con le cinque dita (esatto, come i guanti!): sono comodissime e consigliate per evitare le vesciche, anche se per indossarle serve più tempo rispetto alle calze classiche.

Ma quante maglie, pantaloni bisogna portare? Nel mio zaino ci sono sempre tre cambi: questo perché, mentre un cambio lo indosso, l’altro può essere lavato per il giorno dopo. Ma in caso di imprevisto, il terzo cambio è provvidenziale. A questo proposito, consiglio sempre di avere indumenti tecnici, lavabili e soprattutto generalmente asciugabili molto velocemente.

Se ti stai  chiedendo se è meglio il pantalone lungo o corto, ti dico subito che non c’è un regola: io consiglio sempre il pantalone lungo: protegge le gambe da rovi, erba alta e dalle indesiderate zecche.

Ricordiamoci di portare solo l’indispensabile: magliette, pantaloni, una felpa più pesante, un piumino leggero.

E se piove?? Prima o poi, tutti gli escursionisti si trovano a camminare sotto la pioggia e quindi è importante avere indumenti che ci riparino. Nello zaino, quindi, via libera al guscio e ai copri pantaloni, generalmente in Gore-tex. Tanti i vantaggi del guscio: è traspirante, leggero, e si asciuga rapidamente. Un buon guscio può essere costoso, ma è un investimento che vale la pena fare.

Capitolo igiene personale: anche in questo caso, lasciamo a casa il superfluo! Basta avere con sé dentifricio (in pastiglie) e spazzolino, una saponetta, deodorante. Tutto questo occupa pochissimo spazio.

Capitolo accessori: nello zaino io porto sempre cappello o bandana per le giornate di sole; berretto e guanti (o sottoguanti) per le giornate in cui si parte con il sole ma poi arriva il brutto tempo. Ho con me sempre uno scaldacollo. Sempre crema solare, burrocacao ed occhiali da sole. Dalla torcia frontale non mi separo mai, ricordandomi di portare le pile di scorta o un caricatore portatile se la batteria è ricaricabile. Per le piccole emergenze, vedi suole che si staccano dalla scarpa, ho sempre un rotolo di cerotto telato.

Aiuto, mi sono fatto male! In ogni zaino ci dovrebbe essere un kit di automedicazione: non un ospedale intero, ma medicine personali, cerotti, disinfettante. Sono utili anche i cerotti per vesciche, gel igienizzante.

E come mettiamo tutte queste cose nello zaino? Gli indumenti vanno arrotolati per ottimizzare lo spazio e per essere più facilmente trovati. Ovviamente, ogni volta che dovremmo preparare lo zaino saremmo diventati più bravi rispetto alla volta precedente. L’unica regola che mi sento di lasciare è la regola del 10%: lo zaino deve pesare il 10% del tuo peso.

Ma come detto all’ inizio, la cosa più importante è affrontare il trekking con mente aperta, pazienza e cogliere gli insegnamenti che troveremo lungo il nostro cammino. E, perché no, arrivare a sera con #PiediStanchieCuoreFelice.

Testo e foto Fabrizio Borgognoni

Marzo 2023

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Ciaspoliamo…sì, ma cosa mi metto?

Neve, neve, voglia di stare all’ aperto a ciaspolare…sì, ma cosa mi metto?
Ogni volta che si propone una ciaspolata, scatta inevitabilmente la domanda alla Guida: ma serve un’attrezzatura particolare? Posso venire con la tuta da sci? E agli stivaletti che uso quando piove si possono agganciare le ciaspole?

E allora, piccolo vademecum per non sbagliare (o almeno non avere freddo)!

Iniziamo subito con GLI ORRIBILI CINQUE, ovvero i cinque capi sconsigliatissimi per fare una ciaspolata:
La tuta da sci (o anche solo i pantaloni da sci o la giacca da sci);
Tutti i capi in cotone (maglie, magliette, felpe)
Il maglione, quello che usiamo per andare in ufficio;
La giacca a vento, tipo bomber;
E, ultimo ma il più orribile di tutti, i Moon boot.

Fatto chiarezza su cosa NON usare, prima di iniziare a vedere cosa metterci addosso, dobbiamo ricordare che ciaspolando ci si riscalda in fretta (e nelle pause ci si raffredda in fretta) quindi è fondamentale che i nostri capi d’ abbigliamento abbiano tre caratteristiche importantissime:
Essere impermeabili
Essere traspiranti
Essere termici

Fatta questa premessa, vediamo ora come vestirsi per una ciaspolata, partendo dalle estremità del corpo: durante lo sforzo della ciaspolata il sangue tende a concentrarsi nella parte centrale del corpo (il busto) lasciando le estremità (testa, mani, piedi) più fredde.

Testa e collo, ovvero cappello e scaldacollo: non solo per le ciaspolate, ma avere in zaino cappello e scaldacollo è sempre un’ ottima idea. Cappelli in commercio ne esistono di tutti i tipi; per lo scaldacollo, io consiglio di avere sempre in zaino uno scaldacollo più leggero ed un altro più caldo, da utilizzare principalmente quando fa freddo.

Mani, ovvero mai senza guanti: io porto con me due paia di guanti. Un sotto-guanto leggero che evita il congelamento delle dita e un paio più pesante. Durante una ciaspolata può essere utile abbinare il sotto-guanto al guanto più pesante per avere sempre le mani al caldo e riuscire ad impugnare bene i bastoncini. I guanti da sci sono ingombranti, e generalmente tengono troppo caldo.

Consiglio da Guida: i sotto guanti, come cappello e scaldacollo, sono utilissimi in tutte le stagioni: da portare sempre nello zaino!

Piedi, ovvero vietato averli freddi: le calze sono un indumento indispensabile, anche se spesso non considerate come dovrebbero. I due principali vantaggi di usare un buon calzino (ovviamente tecnico) sono avere il piede al caldo e il non avere vesciche. Un buon calzino da trekking invernale sarà più che sufficiente per non rischiare di passare ore con i piedi al freddo.

E le calzature? Come anticipato assolutamente sconsigliati i Moon Boots, che impediscono di agganciare le ciaspole e fanno fare la sauna ai piedi. Ma anche sconsigliate le scarpe basse (anche se da trekking o da trail) per evitare che la neve entri nella calzatura. Quindi sì a scarponi invernali o quattro stagioni, sempre alti alla caviglia e obbligatoriamente impermeabili.

La parte alta del corpo, ovvero vestiamoci a cipolla! Quando si pensa di passare qualche ora sulla neve a ciaspolare, si ha sempre paura di avere freddo…ma non è così! Ciaspolare, benchè sia un’attività adatta a tutti, è faticoso e fa sudare! Questo è il motivo perché negli ORRIBILI CINQUE sono stati inseriti i capi di cotone e la tuta da sci, bastano pochi passi per accorgersi che è un abbigliamento inadatto a questa attività.
La regola da tenere a mente è semplice: se la temperatura è superiore ai -10 gradi è possibile che tu abbia caldo, se è inferiore ai -10 gradi avrai sicuramente freddo: quindi stra-consigliato vestirsi a cipolla.

Cipolla, strato 1:la maglia termica. Il vero elemento essenziale di ogni escursione (non solo delle ciaspolate): trattiene il calore, fa traspirare la pelle e si asciuga facilmente. Meglio ancora, scegliere una maglia termica tecnica.
Sconsigliato il cotone perché si bagna con il sudore e non si asciuga mai.
Cipolla, strato 2: pile o soft shell. Unita alla maglia termica, è la base per ogni escursione.

Cipolla, strato 3: piumino leggero. Un elemento di sicurezza contro il freddo. Anche se verrà tenuto in zaino, diventa utilissimo quando la temperatura scende o al termine della ciaspolata. Un buon piumino è leggero, si piega facilmente e nello zaino occupa poco spazio.

Cipolla, strato 4: guscio o hard shell. Un buon guscio serve a ripararci in caso di condizioni climatiche avverse (ad esempio, a metà ciaspolata inizia a nevicare). Il guscio è in gore-tex e idrorepellente.

E le gambe? Ovvero calzamaglia e pantaloni (e ghette). Le calzamaglia sono da utilizzare solo nelle situazioni più rigide: se ciaspoliamo in una bella giornata di sole o a fine inverno, con una calzamaglia sotto al pantalone rischiamo di avere troppo caldo. Impagabile, invece, il caldo che procura la calzamaglia nelle giornate fredde o rigide.
Per i pantaloni, la regola è sempre la stessa: devono essere impermeabili, traspiranti. No quindi a pantaloni da sci (o pantaloni felpati, se esistono ancora in commercio). Sempre consigliati i pantaloni di media pesantezza, meglio ancora se di tipo softshell. In commercio esistono anche pantaloni con ghette incorporate: le ghette sono utilissime per evitare che la neve entri nello scarpone.
Oltre a sconsigliare i pantaloni da sci, sconsiglio anche i jeans: si bagnano facilmente e non si asciugano mai.

Ultimo consiglio, ma non meno importante: in inverno il riverbero del sole sulla neve dà fastidio ( e può creare problemi alla retina). Quindi, sempre avere con sé un paio di occhiali da sole, meglio se con le protezioni laterali e il nasello per una massima copertura.

Consigli da Guida:
Primo consiglio: gli strati di abbigliamento vanno tolti al momento giusto. Quando sei partito per la ciaspolata faceva freddo; passate due ore ti sei scaldato ma sei ancora vestito come quando sei partito. E’ sbagliato! Togliere gli strati al momento giusto favorisce la traspirazione e si evita di trovarsi bagnato dal sudore prima del dovuto. Se sudi troppo ti stanchi prima. E spogliarsi da sudato non è proprio consigliato!
Secondo consiglio: cambio in zaino e cambio in macchina. Ovviamente in zaino non bisogna portare un cambio di tutti gli indumenti, basta un cambio per la maglia termica in modo da poterla cambiare casomai fosse bagnata spolta (come diciamo in Appennino). In macchina invece consiglio di lasciare un cambio completo, per evitare di fare il viaggio di ritorno con indumenti bagnati e piedi umidicci.

Testo Fabrizio Borgognoni


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A proposito di…ghette

Inverno, tempo di ghette! Ma utili anche in autunno e in primavera, insomma tutte le volte che vogliamo evitare che acqua ( o neve), umidità o sassolini si infilino negli scarponi. In questo modo si mantengono le estremità inferiori dei pantaloni il più asciutte possibile e quindi anche l’ escursione più “bagnata” non sarà così inaffrontabile!

Una volta si usavano la pelle e le fasce di tessuto grezzo che ora hanno lasciato il posto a materiali ben più tecnologici e pratici, ma la funzione e l’utilità delle ghette resta sempre la stessa.

Le ghette possono rivelarsi un ottimo alleato in svariate situazioni: se si affronta un percorso in cui è presente la neve alta, evitano il contatto con la parte superiore della tomaia degli scarponi e con il tessuto tecnico del pantalone. Infatti, se dovesse entrare della neve dentro lo scarpone, in poco tempo il calzino si bagna e anche il pantalone alla caviglia. Questo significa avere il piede e la gamba umidi o bagnati e quindi essere in una situazione di disagio.
Altro impiego è quello di proteggere le gambe da graffi o da escoriazioni soprattutto se si affrontano percorsi al di fuori dei sentieri con la presenza di rovi o di cespugli spinosi.
Ancora, le ghette possono essere indispensabili se si vuole mantenere il piede e le gambe all’asciutto in caso di attraversamento di corsi d’acqua o di pioggia. Le ghette possono servire anche se capita di dover camminare per tratti con erba alta e bagnata dalla pioggia o dalla rugiada.
Infine, possono essere molto adatte per evitare che corpi estranei come ghiaia e sassolini penetrino all’interno della scarpa durante il percorso di trekking.

Per scegliere la nostra ghetta, dobbiamo prima di tutto individuare l’ attività che andremo a fare e in cui vogliamo usare le ghette:
Trekking: le ghette per il trekking o escursionismo sono in genere leggere e traspiranti e offrono una protezione di base contro rocce, terra/fango e pioggia. Alcune sono completamente impermeabili per la protezione da pioggia e neve. Le ghette da trekking sono spesso utilizzate in brevi escursioni giornaliere ma anche in escursioni di più giorni.
Alpinismo: le ghette per l’alpinismo offrono una protezione resistente e un po’ di isolamento aggiuntivo per viaggi prolungati in condizioni difficili. La maggior parte presenta un tessuto impermeabile e traspirante per la protezione da pioggia e neve.
Trail running: le ghette per trail running sono generalmente molto leggere e compatte. Il loro scopo principale è quello di tenere lontano i detriti dalle scarpe mentre si corre sul sentiero. Di solito non sono impermeabili.
Ovviamente l’uso delle ghette non si limita all’escursionismo, all’alpinismo e al trail running. Se hai bisogno di tenere acqua, neve o detriti fuori dagli scarponcini, trova le ghette che ti possono offrire il livello di protezione di cui hai bisogno.

Ma a cosa dobbiamo fare attenzione quando decidiamo di comprare le ghette?
I fattori importanti di cui dobbiamo tenere conto li possiamo riassumere così:
Lunghezza ( o altezza) delle ghette: L’altezza appropriata delle ghette dipende principalmente dalla protezione di cui avrai bisogno. Generalmente, per l’uso sulla neve, avrai bisogno di una ghetta più alta per una maggiore copertura. Ghette più corte sono ideali per il trail running e le escursioni leggere. Nota che le ghette più alte sono generalmente più calde di quelle più corte perché limitano di più il flusso d’aria.

Vestibilità: Acquistare ghette della giusta misura è importante. Quando le ghette non si adattano bene, possono far entrare acqua, neve e sassolini nelle calzature e possono essere scomode da indossare. Fortunatamente, la maggior parte delle ghette sono disponibili in dimensioni allineate con le misure degli scarponcini o delle scarpe.
L’obiettivo principale nella scelta delle ghette è quello di ottenere il miglior avvolgimento possibile intorno agli scarponcini o alle scarpe per tenere fuori i detriti. Idealmente, dovranno adattarsi comodamente anche alle gambe e ai polpacci. Quando provi le ghette, fallo con gli scarponcini o le scarpe con cui prevedi di indossarle: si devono avvolgere perfettamente agli scarponcini. Non devono esserci aree libere o aperture evidenti in cui possano penetrare acqua o detriti.

Quali sono le caratteristiche principali delle ghette?
Impermeabili: le ghette per l’alpinismo e gli sport invernali sono in genere realizzate con un materiale impermeabile e traspirante per proteggere dalla neve. Se camminerai in condizioni bagnate o innevate, cerca ghette impermeabili.
Repellenti per insetti: di tanto in tanto troverai ghette trattate con un repellente per insetti per tenere lontane zanzare, zecche e altri insetti. Può essere utile per le escursioni in aree note per essere particolarmente infestate da insetti.
Tessuto resistente all’abrasione: alcune ghette includono un robusto nylon resistente all’abrasione nella parte inferiore. È progettato per resistere alle abrasioni del ghiaccio, delle rocce e dello sfregamento occasionale dei ramponi.
Tessuto soft-shell: il tessuto soft-shell offre flessibilità ed elasticità nonché un’eccellente protezione dagli agenti atmosferici.
Rivestimento in nylon: le ghette basiche sono molto leggere e di solito sono realizzate con nylon rivestito in poliuretano. Funzioneranno perfettamente per brevi escursioni o trekking rapidi di un giorno, senza troppe pretese.
Sistema di ingresso: le ghette per l’escursionismo e l’alpinismo sono generalmente comprese frontalmente di lunghe strisce di chiusura a strappo (marchio VELCRO® o simili), per essere calzate facilmente.
Chiusure superiori: le ghette basiche sono tipicamente strette da fasce elasticizzate; alcuni modelli presentano una cinghia superiore dedicata con fibbia.
Cinturini sul collo del piede: fissano il bordo inferiore delle ghette attorno al collo del piede degli scarponcini. Le ghette basiche sono dotate di semplici cinturini. Le ghette più professionali sono dotate di cinturini in pelle rinforzata o cinturini sintetici per una maggiore durata.
Ganci: sono presenti in diverse tipologie, consentono di attaccare i lacci degli scarponcini alle ghette per una maggiore sicurezza. 

E adesso che ho comprato le ghette come le indosso?
Indossare le ghette non è particolarmente complicato, in linea di massima basta seguire questi accorgimenti:
1. Posiziona le ghette in modo che le chiusure a strappo o a cerniera si trovino davanti: man mano che infili le ghette, il tessuto dovrebbe avvolgersi dietro le gambe e parte aperta dovrebbe essere davanti.
2. Posiziona l’aggancio dei cinturini sul collo del piede verso l’esterno: posiziona le ghette in modo che gli agganci dei cinturini sul collo del piede siano all’esterno. Se li metti all’interno, potresti accidentalmente pestarli mentre cammini.
3. Regolare i cinturini del collo del piede: su alcune ghette, in particolare quelle con cinturini del collo del piede interni, è necessario regolare le cinghie del collo del piede alla lunghezza appropriata prima di indossare completamente le ghette. L’ obiettivo è quello di agganciare i cinturini in modo che il fondo delle ghette sia ben aderente intorno agli scarponcini o alle scarpe. Se usi sempre le stesse calzature con le ghette, potrai regolare i cinturini del collo del piede solo una volta.
4. Aggancia i lacci elastici: sulle ghette che hanno lacci elastici, prova ad agganciare i lacci più in basso che puoi sugli scarponcini.
5. Chiudere le chiusure a strappo o a zip: fissare le lunghe strisce di chiusura a strappo che corrono insieme lungo i frontali delle ghette. Per le zip non c’è questo problema: chiudile semplicemente.
6. Allaccia le chiusure superiori: non è necessario stringere eccessivamente le chiusure in cima alle ghette, se presenti. Allacciale in modo che le ghette non scivolino lungo le gambe. Il serraggio eccessivo risulterà scomodo. Alcune ghette non hanno questo tipo di chiusura ma hanno solamente una fascia elastica che non necessita di essere allacciata.
7. Assicurare altre chiusure: alcune ghette presentano bottoni o altri tipi di chiusure nella parte superiore e / o inferiore per evitare che le ghette si allentino. Assicurali prima di uscire.

Testo Fabrizio Borgognoni
Foto tratta da Montagne Nostre

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Pioggia, tuoni e fulmini…come comportarsi

Sono convinto che l’escursionismo non è una scienza esatta, quindi può capitare, durante un’uscita, di dover fare i conti con la classica guastafeste: la pioggia. Pioggia declinata da poche gocce innocue a temporale vero e proprio con tanto di tuoni, lampi e..fulmini!

Diciamo intanto che si definisce pioggia una precipitazione atmosferica che raggiunge il suolo in forma liquida. La pioggia si origina per l’accrescimento di goccioline d’acqua o cristalli di ghiaccio all’interno delle nubi. Queste goccioline, una volta superato un certo peso ed essere divenute quindi troppo pesanti per essere trattenute dai moti all’interno delle nubi, cadono verso il suolo sotto forma di pioggia. Ovviamente le gocce più grandi (e quindi più pesanti) sono le prime a raggiungere terra: ecco perchè all’arrivo di un acquazzone a coglierci impreparati sono innanzitutto i goccioloni più grandi. I temporali, invece, sono fenomeni intensi, spesso veloci ed improvvisi: occorre quindi tener conto della rapidità con cui le nubi temporalesche si sviluppano e conducono il temporale alla sua massima intensità.

CONSIGLIO DA GUIDA: I programmi della giornata si possono modificare! Anche se non ci sono segnali imminenti di un temporale, non c’è modo di prevedere con esattezza l’evoluzione del tempo: è sempre preferibile un eccesso di cautela.

Ma possiamo prevedere un temporale?

Il modo più semplice per prevedere un temporale è quello di leggere le nuvole; infatti tutta la pioggia è portata dalle nuvole ma non tutte le nuvole portano pioggia. Le nubi che provocano con maggior probabilità precipitazioni fino al suolo sono quelle composte sia da acqua che ghiaccio, come quelle a sviluppo verticale (cumulonembi) caratterizzate da forti correnti ascensionali al loro interno, dalle quali spesso si originano temporali anche violenti. Altre nubi dalle quali si originano precipitazioni di rilievo sono i nembostrati, nubi medio-basse stratificate e molto spesse anche perchè saldate solitamente agli strati nuvolosi soprastanti.
Invece le nubi che si sviluppano a quote molto elevate, come cirri e cirrostrati, possono provocare precipitazioni, ma queste ultime sono talmente deboli che sublimano rapidamente durante la caduta. Nel caso di nubi medie come gli altocumuli le precipitazioni a volte possono limitarsi alle cime più elevate di una catena montuosa. Anche le nubi molto basse, come nel caso degli stratocumuli, composte da piccole goccioline d’acqua, difficilmente possono produrre precipitazioni rilevanti, al più deboli pioviggini a carattere locale, ma il più delle volte sono nubi innocue.

Anche l’udito è utile per prevedere un temporale e riuscire a capire quanto sia vicino. Per sapere a quale distanza si trova un temporale, basta cronometrare quanti secondi passano tra il lampo e il tuono e moltiplicare questo numero per 330. La cifra ottenuta indica la distanza in metri dal centro del temporale. Se dopo il lampo non si sente il tuono, il temporale è all’ incirca a 30 kilometri da noi. Se tra il lampo e il tuono passano meno di 30 secondi, è opportuno iniziare a cercare un rifugio per riparasi dal temporale e dal suo pericoloso compagno di viaggio: il fulmine.

In Italia, ogni anno, cadono più di 600.000 fulmini: la regione più colpita è la Lombardia. L’ atmosfera attraversata dal fulmine viene surriscaldata fino a 10.000-17.000 gradi (circa 2-3 volte la temperatura superficiale del Sole). Sono più di 10.000 le persone che (nel mondo) ogni anno vengono colpite dai fulmini, con effetti che vanno dalla folgorazione, alle scottature di vario grado, fino alle lesioni permanenti di organi interni. Non sempre però il fulmine è letale: solo il 20% delle persone colpite da un fulmine muore.

Come possiamo difenderci dai fulmini se siamo all’ aperto? Vediamo innanzitutto cosa è meglio NON  fare:

NON tuffarsi in acqua-lago o fiume o mare-perchè l’acqua è un ottimo conduttore elettrico e propaga quindi facilmente i fulmini.
NON ripararsi sotto gli alberi, specie se sono isolati.
Allo stesso modo, NON sostare vicino ad luoghi appuntiti (campanili, torri, spuntoni di roccia) ed anche l’ombrello (specie se con punta di metallo) può essere pericoloso.
Allontanarsi da vette, creste o qualunque altro elemento “a punta”.
Allontanarsi da strutture metalliche (piloni, tralicci, croci, etc).

E cosa è consigliabile fare?

Se siamo in alto, scendiamo immediatamente di quota, evitando di fermarci su percorsi elevati o esposti.
Se ci troviamo all’ aperto, cerchiamo di non essere la presenza più alta del luogo che ci circonda: se ci troviamo su un terreno scoperto, è consigliabile accucciarsi negli affossamenti: piedi uniti, testa tra le ginocchia, tenendo la minor porzione possibile del corpo a contatto col terreno. Non sdraiamoci a terra! Se abbiamo lo zaino,e se asciutto, usiamolo per sederci sopra, in modo da frapporre tra noi e il terreno un materiale. Se ci ripariamo in una grotta NON tocchiamo la nuda roccia.
Ricoveri meno sicuri ( ma utili se non troviamo di meglio) sono i bivacchi: anche in questo caso, restiamo lontani dalla soglia e dalle pareti.
Il metallo non attira i fulmini, però è un buon conduttore di elettricità: è quindi importante restare lontani da oggetti metallici estesi (recinzioni, ringhiere, scale, gradinate, etc). Se una struttura come quelle indicate viene colpita da un fulmne, il metallo può condurre la corrente alla persona che vi trova a contatto o nelle immediate vicinanze.
Spegniamo il cellulare e cerchiamo di tener lontani i bastoncini da trekking o la picozza.
Se siamo insieme ad altre persone, non teniamoci per mano e camminiamo ad una distanza gli uni dagli altri di almeno 10 metri.

Testo e foto Fabrizio Borgognoni

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